Il pregiudizio. Quello che da anni combattiamo, colpisce
ancora. Colpisce quando un paziente assesta un pugno in pieno volto ad un
infermiere, quando un giornalista non si cura a dovere del potere delle parole,
quando il web diventa campo di battaglia per sfide a singolar tenzone in cui a
perdere, in ogni caso, è la dignità umana prima ancora che professionale. Il
pregiudizio colpisce quando si tenta di ammucchiarlo come polvere sotto il
tappeto, affossa quando si nasconde la testa sotto la sabbia.
Infermieri incastrati tra orgoglio e pregiudizio
Che il pregiudizio sugli infermieri serpeggi ancora
praticamente indisturbato lo ha dimostrato – ultima solo in ordine di tempo –
la giornalista Franca Leosini, che nella sua incalzante intervista ad Antonio
Ciontoli sul caso Vannini ha tenuto a precisare che quella arrivata con
l’ambulanza a soccorrere Marco era
solo un'infermiera, non un medico e perciò non aveva un titolo
sufficiente per capire che il ragazzo non era stato ferito da una punta di
pettine.
(Già, perché gli infermieri, a detta di certi cronisti, servono
solo a fare il giro di routine nei reparti per somministrare la
pillolina sempre uguale tutte le mattine).
Una frase che ha fatto accapponare la pelle a chi,
come noi, vive la professione e ogni giorno lavora duramente per rubare
centimetri di terreno al pregiudizio che dall’esterno – così come anche da
alcune fronde interne – mina la credibilità costruita negli anni.
Una frase che la stessa giornalista si è sentita in dovere
di ribadire una seconda volta di fronte alla titubanza di Ciontoli che,
ad un tratto, è parso quasi rammaricato per non aver usato come strategia
difensiva questa stessa tesi. Ma lui, che forse cercava un complice (non
sappiamo spiegarci in altra maniera la sua scelta di confessare il colpo di
pistola solo una volta arrivati al PIT), sembra essere stato vittima del suo
stesso pregiudizio.
Un’infermiera
di 118 – che pure si era resa conto delle incongruenze tra lo stato di
salute del ragazzo e le informazioni che le venivano date dai Ciontoli - non
gli è parsa “abbastanza”. Che è stato uno sparo lo ha confessato solo al medico
(ma il complice Ciontoli non lo ha trovato. Ha trovato professionisti, che ha
depistato finché ha potuto).
E allora un’ipotesi, la mia ipotesi, è che ad
accomunare Ciontoli e la Leosini sia proprio questo: il pregiudizio. Un
po’ come quando al triage di un Pronto soccorso un paziente pretende a tutti i
costi di trovare un medico e non un infermiere, calpestando anni di ricerca,
studio, evidenze, formazione continua. Calpestando leggi dello Stato e la
dignità di persona, aggredendo
e minacciando professionisti che ora vanno al lavoro con la paura. E
con le ossa rotte.
Un po’ come quando basta andare a braccetto con la
tecnologia per diffondere
sul web video artefatti con il solo intento di calunniare una categoria
intera o come quando serve trovare
dei capri espiatori per le condizioni indecenti in cui versano certe
realtà ospedaliere.
Si cavalca così facilmente, il pregiudizio. È così
facile, che nemmeno ci si accorge di quanto si avvelenino le coscienze con
parole che si sedimentano nella memoria collettiva come macigni e che restano
come marchi indelebili.
Accade questo, quando invece quello che dovremmo fare tutti
– professionista con cittadino, cittadino con professionista, professionista
con professionista – è integrarci.
Non necessariamente fondersi, ma integrarsi. Perché altrimenti
sarà un po' come se le nostre scelte dipendessero sempre dagli altri, quelli
che incalzano il pregiudizio. E questo non ce lo possiamo permettere, non
più.