Articolo del sito: ilfattoquotidiano.it e indirizzato a tutto il personale dell'Asst Pini-Cto;
“Chiedo se si riconduca all’infortunio sul lavoro, con conseguente applicazione delle relative tutele, l’ipotesi in cui il personale contragga il virus senza aver aderito alla profilassi vaccinale, oppure se venga fatto un distinguo tra chi non si è sottoposto volontariamente oppure per una particolare condizione di salute”, si legge nella richiesta di parere inviata il 17 gennaio dal dirigente ospedaliero. “Questa Direzione territoriale, in virtù della complessità e delicatezza della problematica evidenziata – concernente molteplici aspetti eterogenei – ritiene indispensabile e opportuno sottoporre la questione direttamente alla Direzione centrale competente”, è la replica arrivata a stretto giro dal direttore della sede ligure dell’Inail Marco Quadrelli.
Dalla sede nazionale trapela che l’istruttoria, per la sua importanza, verrà probabilmente affidata a più di una tra le 22 Direzioni centrali. Ma da Genova il quesito arriverà accompagnato da un parere, orientato – a quanto apprende ilfattoquotidiano.it – a far rientrare il caso degli infermieri del San Martino nella fattispecie dell’infortunio sul lavoro. Se il vaccino non è un obbligo – è il ragionamento dell’ufficio locale – non si può far discendere dall’esercizio di un diritto, qual è il rifiuto della dose, conseguenze penalizzanti sul piano delle tutele. Per esempio l’assenza di indennità economica e assistenza sanitaria a carico dell’Inail, oltre al conteggio dei giorni di malattia nel periodo di comporto, superato il quale scatta la possibilità del datore di licenziare (mentre i giorni di assenza per infortunio sul lavoro non vengono conteggiati). Tutto ciò varrebbe a maggior ragione nel caso in cui il rifiuto del vaccino non sia una scelta ideologica ma sanitaria, consigliata dal medico per condizioni di fragilità personale. E i dirigenti liguri dell’ente sono perplessi anche sull’idea di considerare il Covid un rischio “tipico” delle professioni sanitarie, da cui far discendere – ad esempio – sanzioni disciplinari per chi non si vaccina: il coronavirus sarebbe piuttosto un rischio sociale, di fronte a cui un infermiere va considerato vulnerabile alla pari di qualsiasi altro cittadino.
Un’impostazione che non trova d’accordo il direttore amministrativo Giuffrida: “Nel 2020 è stato deciso che aver contratto l’infezione, per il personale sanitario, era da ritenersi un infortunio sul lavoro, e mi sembra logico. Ma è la stessa cosa se questo accade quando si è rifiutata una protezione a cui si aveva non solo diritto ma anche priorità di accesso?”, si chiede. “Di sicuro, si è trattato di una grave inadempienza deontologica da parte di chi opera in strutture sanitarie e ha il dover di curare la propria salute, oltre a quella dei pazienti, per il principio implicito che l’una dipende dall’altra. Non voglio suggerire soluzioni, né spingere verso una o un’altra, dico solo che qui si apre una questione giuridica e mi pare opportuno che l’Inail la valuti e dia una risposta”.