Fonte: Fnopi.it
Ogni anno circa 5mila infermieri subiscono violenze fisiche
o verbali: circa 13-14 al giorno.
L’89,6% degli infermieri – in prima linea ad esempio nel
triage ospedaliero che “accoglie” i pazienti e li smista nella struttura con
tempi spesso lunghi non dovuti però alla professionalità dell’operatore, ma
all’organizzazione – è stato vittima, secondo una ricerca condotta
dall’Università di Tor Vergata di Roma, di violenza fisica/verbale/telefonica o
di molestie sessuali da parte dell’utenza sui luoghi di lavoro.
In base ai dati rilevati si può dire che praticamente circa
240mila infermieri su 270mila dipendenti durante la loro vita lavorativa hanno
subito una qualche forma di violenza, sia pure solo una aggressione verbale.
Di tutte le aggressioni (secondo l’Inail) il 46% sono a
infermieri e il 6% a medici (gli infermieri sono i primi a intercettare i
malati al triage, a domicilio ecc. e quindi quelli più soggetti).
Le proposte presentate in audizione
Durante l’audizione alla Camera, dinnanzi alle Commissioni
riunite Giustizia e Affari Sociali, nell’ambito dell’esame dei progetti di
legge recanti “Disposizioni in materia di sicurezza per gli esercenti le
professioni sanitarie e socio-sanitarie nell’esercizio delle loro funzioni”,
Cosimo Cicia, componente del Comitato centrale della Federazione nazionale
degli ordini degli infermieri (FNOPI: oltre 450mila iscritti) e Giovanni
Grasso, presidente dell’ordine degli infermieri di Arezzo che ha lanciato la
campagna social ormai virale #RispettaChiTiAiuta rivolta ai cittadini, hanno
illustrato le richieste FNOPI per il disegno di legge:
1. tolleranza zero verso la violenza nelle strutture
sanitarie. L’inasprimento delle pene deve servire soprattutto a far sì che chi
compie atti di violenza sappia (quindi massima informazione) sta perpetrando un
reato severamente punibile;
2. regolamentare l’uso dei social nei luoghi di lavoro e
rispetto all’attività professionale per evitare commenti, furti di identità e
proposte inappropriate (ne sono vittima circa il 12% dei professionisti
coinvolti che nel caso degli infermieri sono per il 77,42% donne;
3. snellimento delle attese stressanti in pronto soccorso
con meccanismi di smistamento alternativi a bassa intensità e gestione
infermieristica per ridurre la tensione e la reattività dei pazienti anche
grazie all’applicazione dei nuovi codici già previsti per la classificazione
delle urgenze;
4. pene anche più severe per chi aggredisce verbalmente e
fisicamente un professionista sanitario donna sul luogo di lavoro, prevedendo
l’aggravante del pericolo che possono correre gli assistiti;
5. maggiore formazione del personale nel riconoscere,
identificare e controllare i comportamenti ostili e aggressivi prevedendo anche
appositi corsi Ecm (educazione continua in medicina).
Oggi la formazione degli operatori su questo argomento è del
tutto carente e chi si trova ad affrontare situazioni pericolose in prima
linea, spesso è impreparato a meno di un suo personale interessamento, mentre
dovrebbe essere previsto a livello di corso universitario, anche grazie a una
modifica agli ordinamenti didattici e al sistema Ecm;
6. maggiore informazione e formazione perché siano
denunciate da tutti e in modo chiaro le azioni di ricatto e le persecuzioni
nell’ambiente di lavoro rispetto alla posizione e ai compiti svolti;
7. predisposizione di un team addestrato a gestire
situazioni critiche, in continuo contatto con le forze dell’ordine soprattutto
(ma non solo) nelle ore notturne nelle accettazioni e in emergenza;
8. lo stesso team dovrà anche sensibilizzare i datori di
lavoro a non “lasciar fare”, ma a rifiutare la violenza anche prevedendo
sanzioni;
9. stabilire procedure per rendere sicura l’assistenza
domiciliare prevedendo anche la comunicazione a un secondo operatore dei
movimenti per una facile localizzazione;
10. evitare per quanto possibile che i professionisti
sanitari effettuino interventi “da soli”, ma fare in modo che con loro sia
presente almeno un collega o un operatore della sicurezza;
11. riconoscere lo status di pubblico ufficiale, ritenendolo
strumento indispensabile per arginare le violenze;
12. inserire la predisposizione delle opportune misure per
la sicurezza degli operatori sanitari e per prevenire atti di violenza tra gli
obiettivi individuali del Direttore generale dell’azienda.
Nessun infermiere sia lasciato solo
La Federazione si è già più volte espressa e ha preso
posizione sul tema della violenza sugli operatori, anche a supporto delle
numerose denunce e delle iniziative via via prese dagli Ordini provinciali ed è
disponibile a dare supporto, collaborare e operare con le altre istituzioni per
definire percorsi di prevenzione efficace.
La FNOPI non ha intenzione – e chiede che la legge possa
essere una garanzia in questo senso – di lasciare solo nessun collega.
L’infermiere, come ogni professionista della salute, non è un bersaglio, non è
un capro espiatorio, non è un contenitore inerme dove riversare rabbia,
frustrazione e inefficienze del sistema.
L’infermiere è un professionista alleato del cittadino e
tutto il Servizio sanitario deve impegnarsi perché questa alleanza possa
esprimersi al meglio, per aumentare sicurezza e fiducia. Il tutto in sintonia e
condivisione con le iniziative di altre Federazioni come quella degli Ordini
dei medici, coinvolte in prima persona dal fenomeno.
Il successo del corso CARE
In questo senso, come accennato in precedenza, e
considerando che quella infermieristica è sicuramente la professione più
colpita da atti di violenza, per consentire ai propri professioni di evitarli
quanto più possibile, la Federazione ha messo di sua iniziativa (ma sarebbe
bene che fosse previsto un percorso analogo d’obbligo per tutti gli operatori
sanitari maggiormente a rischio) a disposizione agli iscritti un corso gratuito
Ecm.
Il corso si chiama “C.A.R.E. (Consapevolezza, Ascolto,
Riconoscimento, Empatia) – Prevenire, riconoscere, disinnescare l’aggressività
e la violenza contro gli operatori della salute”, la cui filosofia si basa
sulla de-escalation, una serie di interventi basati sulla comunicazione verbale
e non verbale, appunto, che hanno l’obiettivo di diminuire l’intensità della
tensione e dell’aggressività nella relazione interpersonale.
Il Corso, avviato a settembre 2019, è già stato seguito in
soli 4 mesi 94.403 infermieri, ottenendo anche risultati positivi
nell’applicazione dei comportamenti appresi con una sensibile riduzione delle
aggressioni.
Rivolgersi ai cittadini
Il cittadino non ha chiaro chi si prende cura di lui: deve
capirlo che a farlo è l’équipe. Anche rispetto all’assistenza domiciliare,
altro terreno di rischio per la violenza sugli operatori, spesso modelli
organizzativi sono decisi da pochi mentre il sistema di rischio clinico deve
avere modalità diffuse, interconnesse e condivise da tutti.
Solo l’impegno comune di tutti gli attori della sanità e col
supporto dei rappresentanti dei cittadini e degli organi di informazione, può
migliorare l’approccio al problema e assicurare un ambiente di lavoro sicuro.
Tanto più che gli atti di violenza possono ripercuotersi
negativamente anche sulla qualità dell’assistenza offerta ai cittadini.
#RispettaChiTiAiuta
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