Articolo del sito: Fnopi.it,
L’assistenza sul territorio è il tassello fondamentale per
la tutela della salute dei cittadini, come anche la pandemia ha dimostrato.
E l’assistenza sul territorio si fa concretizzando reti
territoriali multiprofessionali di cui esistono già i presupposti normativi
come l’ospedale
di comunità a gestione infermieristica, normato a inizio 2020 da
un’intesa Stato-Regioni.
Questo eviterebbe il ricorso indiscriminato e penalizzante
dal punto di vista delle attese e della qualità dell’assistenza erogabile ai
pronto soccorso e agli ospedali per acuti.
E si fa grazie all’infermiere di famiglia e comunità,
previsto nel Patto
per la salute 2019-2021 e ora anche dal decreto Rilancio.
“Secondo la ricerca CENSIS-FNOPI – spiega Francesco Maietta, responsabile politiche sociali CENSIS – l 92,7% degli italiani (con punte fino del 94,3% nel Nord-Est e del 95,2% tra i laureati) ritiene positivo potenziare il numero e il ruolo degli infermieri nel Ssn e il 91,4% degli italiani (il 95,1% delle persone con patologie croniche, il 92,6% dei cittadini nel Sud) ritiene l’infermiere di famiglia o di comunità una soluzione per potenziare le terapie domiciliari e riabilitative e la sanità di territorio, fornendo così l’assistenza necessaria alle persone non autosufficienti e con malattie croniche”.
“I cittadini – sottolinea Tonino Aceti, portavoce FNOPI e moderatore del webinar – hanno chiara la strada che deve imboccare il Servizio Sanitario Nazionale, soprattutto ora con l’esperienza Coronavirus: investire molto di più sulla professione infermieristica esaltando lo sviluppo delle loro competenze e riconoscendogli nuove responsabilità, a partire dalla figura dell’infermiere di famiglia e di comunità, ma anche intervenendo sulle profonde carenze di organici con le quali gli infermieri fanno i conti. In questo modo ad aumentare da subito sarà il livello di accessibilità alle cure territoriali e domiciliari da parte dei cittadini con fragilità, che in questi mesi di emergenza coronavirus si sono dovuti scontrare con un vero e proprio congelamento dei servizi, ma anche l’accesso all’assistenza ospedaliera, attraverso la riduzione delle liste di attesa. Con il Decreto Rilancio, attualmente in fase di conversione in Legge, la politica ha la straordinaria opportunità di dare risposte concrete, allineate e coerenti con i bisogni e il punto di vista dei cittadini emersi da questa indagine. Monitoreremo con attenzione le scelte che si metteranno in campo perché non possiamo permetterci di sprecare anche questa possibilità”.
Chi è l’infermiere di famiglia e comunità
È un professionista – le forme contrattuali le decideranno
Regioni e Governo – responsabile dei processi infermieristici in ambito
familiare e di comunità, con conoscenze e competenze specialistiche nelle cure
primarie e sanità pubblica. Promuove salute, prevenzione e gestisce nelle reti
multiprofessionali i processi di salute individuali, familiari e della comunità
all’interno del sistema delle cure primarie e risponde ai bisogni di salute
della popolazione di uno specifico ambito territoriale di riferimento non
erogando solo assistenza, ma attivandola e stabilendo con le persone e le
comunità rapporti affettivi, emotivi e legami solidaristici che diventano parte
stessa della presa in carico.
L’infermiere di famiglia e comunità svolge attività
trasversali per accrescere l’integrazione e l’attivazione tra i vari operatori
sanitari e sociali e le risorse sul territorio utili a risolvere i problemi
legati ai bisogni di salute.
Cosa fa l’infermiere di famiglia e comunità
Ha il compito di svolgere cure domiciliari rispetto
all’istituzionalizzazione (ricoveri), garantendo le prestazioni sanitarie
necessarie e attivando le risorse della comunità per dare supporto alla persona
e alla famiglia nello svolgimento delle attività di vita quotidiana.
Agisce a livello ambulatoriale, come punto di incontro in
cui i cittadini possono recarsi per ricevere informazioni e orientarsi ai
servizi ed eroga prestazioni incluse nei livelli essenziali di assistenza
rivolti alla prevenzione della collettività, della sanità pubblica, e
dell’assistenza di base inclusi interventi di educazione alla salute
Agisce anche a livello domiciliare, a livello comunitario
con attività trasversali di integrazione con i vari professionisti e possibili
risorse formali e informali, a livello di strutture residenziali e intermedie.
Supporta il cosiddetto Welfare di comunità.
Cosa non è l’infermiere di famiglia e comunità
“L’ infermiere di famiglia e comunità – spiega
Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale ordini delle
professioni infermieristiche (FNOPI) – non è l’assistente di studio
del medico di medicina generale e non è ‘assunto’ da questo, ma è una figura
professionale che insieme ad altre figure professionali forma la rete integrata
territoriale, prende in carico in modo autonomo la famiglia, la collettività e
il singolo. Ha un ruolo anche proattivo per promuovere salute, educazione
sanitaria per la persona sana e la famiglia e la comunità e insegna l’adozione
di corretti stili di vita e di comportamenti adeguati”.
“Se poi – aggiunge la presidente FNOPI – assiste una persona
non autosufficiente, cronica o disabile, coordina anche, come indica l’OMS, le
reti territoriali di presa in carico. Abbiamo già esempi di lavoro d’ équipe
multiprofessionale come nei consultori o nella rete della salute mentale”.
“Si tratta – spiega – di équipe multiprofessionali dove c’è
necessariamente il medico di famiglia il pediatra di famiglia, ma anche gli
assistenti sociali, con i quali gli infermieri condividono molto a livello di
attività territoriale quando assistono fragilità e disabilità, gli psicologi,
le ostetriche e altre figure professionali come i fisioterapisti, i
logopedisti. Tutti a domicilio con un meccanismo di coordinamento professionale
che è una sorta di adattamento reciproco tra professioni. E tutto questo –
aggiunge – si porta dietro anche modalità di assistenza come la telemedicina,
la teleassistenza, il telenursing: la vera innovazione è la capacità di
guardare attraverso punti di vista diversi i bisogni dei nostri cittadini”.
Come è formato l’infermiere di famiglia e comunità
La sua formazione è a livello universitario, in percorsi
post-laurea (Laurea Magistrale, Dottorato, Master di I Livello), superando,
appunto, il modello prestazionale e dando spazio a nuovi modelli di prossimità
e proattività che anticipano anche il bisogno di salute e sono rivolti a sani e
malati.
La sua preparazione prevede anche ruoli complementari come
il care manager, eHealth monitoring ecc. per dare
forte sviluppo alla rete sociosanitaria, con la possibilità di agire in
differenti ambiti (dall’ambulatorio al domicilio) con funzioni
multiprofessionali in raccordo diretto con il medico di medicina generale, il
pediatra di libera scelta, gli assistenti sociali e così via.
I risultati raggiunti dove c’è già
La sintesi della ricerca CENSIS-FNOPI
Più infermieri per una sanità migliore: gli italiani
dicono sì. Il 92,7% degli italiani (con punte fino del 94,3% nel
Nord-Est e del 95,2% tra i laureati) ritiene positivo potenziare il numero e il
ruolo degli infermieri nel Servizio sanitario nazionale. Il 41,9% al fine di
colmare le attuali lacune negli organici, il 40% perché li ritiene essenziali
per potenziare i servizi domiciliari, territoriali e di emergenza. Si stimano
in 450.000 gli infermieri attivi di cui ci sarebbe bisogno (oggi sono 450.000
gli iscritti, pensionati compresi), 57.000 più di quelli attuali. Questi sono
alcuni dei principali risultati del Rapporto Censis-Fnopi sugli infermieri e la
sanità del futuro, una ricerca realizzata dal Censis per la Federazione
nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi).
L’ora dell’infermiere di famiglia e di comunità. Il
91,4% degli italiani (il 95,1% delle persone con patologie croniche, il 92,6%
dei cittadini nel Sud) ritiene l’infermiere di famiglia e di comunità una buona
soluzione per potenziare le terapie domiciliari e riabilitative e la sanità di
territorio, fornendo così l’assistenza necessaria alle persone non
autosufficienti e con malattie croniche. Il 51,2% è convinto che l’introduzione
di questa figura professionale faciliterebbe la gestione dell’assistenza,
migliorando la qualità della vita dei pazienti e dei loro familiari. Il 47,7%
pensa che darebbe loro sicurezza e maggiore tranquillità. Il 22,7% ritiene che
innalzerebbe la qualità delle cure. Sono i numeri di un ampio e trasversale
apprezzamento per una figura strategica per garantire quella sanità
territoriale resa ineludibile dall’esperienza del Covid-19.
Bravi e affidabili. L’idea che più infermieri
miglioreranno la sanità, a cominciare da quella territoriale, è anche l’esito
di un legame profondo e consolidato dei cittadini con gli infermieri. Il 91%
degli italiani ha molta o abbastanza fiducia negli infermieri (il dato sale al
93,8% nel Nord-Est e al 93,7% tra gli anziani). Il 68,9% degli italiani valuta
positivamente il rapporto avuto in passato con gli infermieri (il giudizio
positivo sale al 73,9% nel Nord-Est e al 72,6% tra chi ha in famiglia non
autosufficienti). Una fiducia nata nella sanità vissuta quotidianamente dagli
italiani, grazie alla valutazione positiva di professionalità e impegno degli
infermieri già prima dell’ammirazione per i tanti casi di eroismo durante
l’emergenza Covid-19.
Una professione che attrae. L’83% degli italiani
incoraggerebbe un figlio, parente o amico che volesse intraprendere la
professione dell’infermiere: il 71,1% perché lo ritiene un lavoro utile in
quanto aiuta chi soffre, il 37,3% perché lo reputa un’attività affascinante che
fa crescere come persone, il 32,9% perché consente di trovare lavoro.
L’infermiere è oggi una professione che piace a tutti, dai giovani agli
anziani.
I migliori debunker contro il contagio da fake news. Durante il lockdown, 29 milioni di italiani hanno pescato nel web e nei social network notizie false o non corrette su origini, modalità di contagio, sintomi, misure di distanziamento e cure relative al Covid-19. Gli infermieri, grazie alla fiducia di cui godono presso i cittadini, possono essere i più ascoltati e fidati demistificatori, proteggendo dai rischi delle fake news grazie al rapporto diretto con le persone e alla loro voce presente sui siti web istituzionali