In questi ultimi giorni è stata avviata da una nota associazione di
consumatori l’ennesima campagna contro la “malasanità”, che spesso vuol dire
contro coloro che, come noto, sono esposti nell'esercizio della professione ad
un fuoco incrociato di profili di responsabilità che gli si pongono davanti
come un "plotone di esecuzione" in attesa che succeda qualche cosa.
E, prima o poi, qualche cosa succede. Dal punto di vista penale, l'attuale
impostazione giuridica assimila il medico in tutto e per tutto al conducente di
auto che ubriaco investe e uccide qualcuno, al di là delle finalità sociali dei
suoi atti. Bisogna provare a ricevere un avviso di garanzia per omicidio
colposo, essere sottoposti alla gogna mediatica, passare da indagato ad imputato
e condannato prima ancora di entrare in tribunale, passare anni di tormenti
psicologici con il fine pena mai essendo la prescrizione illimitata. Anche se,
come quasi sempre accade, il processo si concluderà in assoluzione, chi ci
restituirà il tempo passato in tormento, la perdita di immagine, l'indelebile
traccia che lascerà questo evento nella nostra psiche? E tutto questo solo per
avere svolto il proprio lavoro. Decisamente più complicato risulta il profilo
della responsabilità civile, in cui l'onere della prova è invertito, quindi
spetterà al medico (fino ad oggi?) dimostrare di non avere fatto errori e di
avere rispettato tutti gli “obblighi contrattuali” posti in essere quando un
paziente si presenta presso una struttura sanitaria pubblica. Nella procedura
civile molto spesso il giudice tende a condannare al risarcimento della
presunta parte lesa. Quando ci sono di mezzo i soldi incominciano i meccanismi
“perversi”. Chi paga, e quanto? Ciò che interessa al giudice è che il danno
venga risarcito. Il danno soprattutto nella nostra giurisprudenza è sia di tipo
patrimoniale (cioè derivante sostanzialmente dalla capacità di produrre
reddito) che extra patrimoniale, con una sfilza notevole di opzioni. Spesso,
proprio per l'atteggiamento “paternalistico” e “pietistico” del giudice,
l'entità stessa dei risarcimenti, in alcuni casi, diventa totalmente fuori dal
controllo e difficile da prevedere. Se il medico, o l'equipe di medici
coinvolti, lavorano in regime di libera professione, ovviamente saranno
chiamati a risarcire in prima persona o tramite le loro assicurazioni nella
speranza che offrano una copertura il più possibile ampia. Per i medici
dipendenti dal SSN, la situazione negli anni si è modificata. Qualche anno fa,
l'obbligo contrattuale della copertura era soddisfatto dalle aziende tramite
polizze assicurative. Ma negli anni le assicurazioni, visto il proliferare
delle cause (e forse l'atteggiamento punitivo con cui erano condotte le
stesse), si sono progressivamente “ritirate” da un ricco mercato lasciando
delle situazioni di scoperto. A questo punto ogni regione, e spesso ogni ASL,
ha fatto a modo suo,in regime di autoassicurazione parziale o totale. Il che
apre la strada ad una altra tipologia di danno ed ad un altro profilo di
responsabilità, quello erariale. Poniamo che o in sede giudiziale o
stragiudiziale la azienda sanitaria decida di liquidare il danno. Primo
caso:dopo un processo civile viene stabilito che il risarcimento del danno “x”
è quantificato in 500.000 euro. La mia ASL paga in prima istanza. Se la
liquidazione arriva direttamente da una assicurazione (cosa al giorno d'oggi
molto improbabile) la mia posizione è di relativa sicurezza: danno liquidato,
la ASL non ha tirato fuori un centesimo, probabilmente nessuno mi chiederà più
nulla. Se però i soldi sono direttamente dell'ASL o di un fondo regionale,
insomma se sono soldi “pubblici”, l'amministrazione è tenuta a mandare il
fascicolo alla corte dei conti la quale potrà chiedermi conto di quell'esborso,
intentando eventualmente un vero e proprio processo con caratteristiche simili
al processo penale. Se posseggo una assicurazione personale che mi copre anche
questo profilo di responsabilità andrò ad accendere un cero, se non ho però
questa tipologia di assicurazione, verrà intaccato il mio patrimonio personale.
Insomma verrò letteralmente rovinato. Secondo caso: in assenza di processo, in
sede stragiudiziale, senza che mi venga comunicato ufficialmente alcunché, la
mia azienda decide di liquidare il presunto danno. Allo stesso modo del caso precedente
verrà inviata informativa alla corte dei conti e da quel momento il mio destino
è esattamente uguale al caso precedente ma la aggravante e che io non so nulla.
Tanto per “allentare” un po' la tensione, ricordiamo la responsabilità
disciplinare. La legge Brunetta ha introdotto nuove norme di regolamentazione
disciplinare nella P.A. e questo tipo di procedimento, svolgendosi al di fuori
dei tribunali, va gestito, in modo molto attento, possibilmente rivolgendosi ad
un legale, poiché tra i suoi possibili esiti vi è anche il licenziamento.
Inoltre, grazie al nostro titolo “onorifico” di dirigenti, “godiamo” anche del
profilo di responsabilità di tipo dirigenziale che prevede una serie di
obblighi e quindi di relative sanzioni. Come difendersi: Scrivere tutto quello
che si fa nella cartella clinica e nei vari referti. La ricostruzione dei fatti
avviene in primis tramite la cartella clinica e, se non scritto, sarà
decisamente più difficile dimostrare che avete detto o fatto quella determinata
azione. In un DEA vista l'intensità di lavoro, è possibile scrivere tutto ciò
che si vorrebbe scrivere? Ovviamente no. Si cominciano a valutare le priorità
che sono la vita del paziente e la necessità di valutare più persone possibile.
E la medicina difensiva? Questa si commenta da se. E se fossi consapevole che
le condizioni in cui mi trovo ad operare (vuoi per gli eccessivi carichi di
lavoro, vuoi per la mancanza di strumenti fondamentali) sono potenzialmente
rischiose per il paziente e lo segnalassi nelle sedi competenti (ad esempio:
direttore di struttura, direzione medica, dipartimento ecc.) il mio profilo di
responsabilità si attenuerebbe? Paradossalmente la mia posizione si aggrava
perché pur sapendo che avrei potuto sbagliare, non ho fatto nulla per evitarlo
e quindi dovrei rifiutarmi di lavorare in quelle condizioni e addirittura
licenziarmi. Figurarsi! Una polizza assicurativa per la rivalsa da parte di
Regione o Corte dei Conti è ormai diventata un utilissimo ferro del mestiere.
Sia ben chiaro, ogni medico che fa il suo lavoro con coscienza sa, che se
sbaglia, dovrà pagare l'equo prezzo del suo errore, come ogni cittadino, ma
spesso è il concetto di equità che sfugge. Allora, serve una nuova sentenza o è
la dolosa inerzia del legislatore che deve essere sanata? La sentenza n. 1430
del 2 dicembre 2014 del Tribunale di Milano ribadisce l'orientamento già
espresso con due pronunce della scorsa estate, e cioè il carattere
extracontrattuale della responsabilità del medico dipendente di una struttura
ospedaliera che, in ragione della propria condotta, cagioni un danno al
paziente. Ma, a noi sembra che ribadire qualcosa non metta al riparo nessuno,
anzi spesso può condurre la giurisprudenza a dividersi. Serve una Legge! Ed in
tempi rapidi!
Dario Amati Coordinatore Macroarea Nord Settore Anaaon Giovani
Domenico Montemurro
Responsabile Nazionale Settore Anaao Giovani