03 gennaio 2022

“Appena mi alzo da questa barella ti meno”. La quarta ondata per gli operatori sanitari: aggressioni, minacce No vax e ferie (ancora) saltate


Gli infermieri, ha calcolato l'Inail, ricevono circa 5mila aggressioni all'anno, ovvero 13/14 al giorno. Le aree più a rischio sono il servizio di emergenza-urgenza, le strutture psichiatriche ospedaliere e territoriali, i luoghi di attesa, i servizi di geriatria e servizi di continuità assistenziale. Il personale attivo in area medica ha accumulato oltre 5 milioni di giornate di ferie arretrate e 10 milioni di straordinario (sondaggio Anaao - Assomed). E poi ci sono i gesti di contestazione di chi è contrario al vaccino. Da Bergamo a Roma, ancora, non si fermano.

A Trento i No vax hanno tirato sassi contro le vetrate dell’Ordine dei medici. Prima avevano minacciato il presidente Marco Ioppi con lettere minatorie. A Bergamo, dove nel 2020 i camion dell’esercito portavano via le bare dei morti per Covid, hanno usato i volantini: “Sarete in grado di guardare in faccia i vostri figli? Il Green Pass è nazismo sanitario”. In Toscana una variazione: hackerata la pagina Facebook della Asl Sud Est, che gestisce le province di Arezzo, Siena e Grosseto. L’hanno riempita di offese rivolte al personale sanitario. Sui muri di Savona sono comparsi manifesti funebri tra i necrologi: “Sono io, la terza dose (vestita da morte, ndr)”. Una dottoressa invece è stata colpita con una testata per aver espresso un’opinione favorevole sul Green pass: è successo a Roma, sulla Metro B. I No vax, che sempre più spesso occupano le terapie intensive, contribuiscono a inasprire e irrigidire l’atmosfera all’interno degli ospedali. Ma non sono l’unico elemento di tensione. Un sondaggio di Anaao-Assomed rivela che a maggio 2021 i medici e i dirigenti sanitari hanno accumulato oltre 5 milioni di giornate di ferie arretrate. E le ore di lavoro straordinario sono state oltre 10 milioni. Carenza di organico, aumento dei pazienti (causa Covid) e posti letto ridotti intasano – ancora – il pronto soccorso e sfiniscono – di nuovo – gli operatori sanitari. Che raccontano scene non nuove, ma tratteggiate da una tinta emergenziale più accesa: “Conosco una dottoressa che stava per essere strangolata da una paziente, l’ha salvata un collega”, spiega Antonino Gentile, infermiere di Pronto soccorso nel Lazio (Ostia) e sindacalista Uls, Unione Lavoratori Sanità. “Mi dicono: appena mi alzo da questa barella ti meno“. E ancora, la collega Anna Maria Amato: “Il Covid ha tolto o limitato la possibilità di visita, e i parenti chiamano in reparto 24 ore su 24. Urlano: ‘So che faccia hai perché mio padre ti ha descritta. Prima o poi dovrai uscire di lì'”.

L’ira No vax, i casi di Trento e Bergamo – “Abbiamo visto pietre che non erano del piazzale antistante all’Ordine ma erano state chiaramente portate da fuori”, racconta a Ilfattoquotidiano.it Marco Ioppi, presidente di Omnceo Trento. Ricorda quanto avvenuto a metà ottobre, quando alcuni anonimi hanno attaccato la sede di Omnceo lanciando sassi e imbrattando i muri. “Sono episodi determinati da persone che fanno di una teoria una religione”. Sulle pareti anche una scritta con spray rosso, dove si legge: “Prima hanno lavorato con il Covid, ora li sospendete. Servi”. Secondo Fnomceo, la Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, a motivare il gesto provocatorio potrebbe essere stata proprio la sospensione momentanea, ai sensi del DL 44, di una trentina di professionisti. “Non possiamo permettere che il sistema sanitario nazionale venga preso in ostaggio da queste persone, perché lo stesso servizio sanitario, causa Covid, è ridotto a dover rinunciare a curare alcuni pazienti, non colpiti dalla pandemia ma affetti da altre patologie, tra cui tumori e ictus. Per non parlare della prevenzione, che è gravemente in affanno”. Quindi, prosegue: “Gli ospedali sono già intasati nella grande maggior parte dei casi da chi non si vuole vaccinare. Alla luce di questo, gesti del genere non possono più essere tollerati“. Lo stesso pensa la dottoressa Eugenia Belotti, che lavora al Pronto soccorso del Papa Giovanni XXIII. Alcune settimane fa ha trovato un volantino sulla propria auto, con questo messaggio: “Sarete in grado di guardare i vostri figli o le vostre figlie negli occhi, e ammettere che siete stati troppi pigri o codardi per combattere per il loro diritto a vivere in una società libera?”. “Erano su tutte le auto del parcheggio usato in prevalenza dai dipendenti”. Le scritte cambiano di biglietto in biglietto ma l’intenzione rimane una sola: intimidire. “Voglio dare a questo gesto l’importanza che si merita, cioè poca. Ma preciso una cosa: quando entriamo in turno, noi operatori lasciamo fuori il nostro privato. Così come lasciamo fuori quello del paziente. Io curo chiunque, indipendentemente dalla sua ideologia. Non accetto, perciò, di essere attaccata nella mia sfera personale: la macchina su cui hanno messo i volantini è la stessa con cui porto a scuola i miei figli”. Analoghi messaggi, poco dopo, sono stati apposti sulla sede dell’Ordine dei medici, di cui Belotti è vicepresidente. “Le pressioni ci sono di continuo, a tutti i livelli”. E tutte le parole sui sanitari eroi? “Io non mi sento così. Mi sento di fare il mio lavoro come tutti i miei colleghi, e mi piacerebbe farlo in pace”.

I racconti degli infermieri – Circa la metà delle aggressioni al personale sanitario, dice l’Inail, è rivolta agli infermieri. Se ne contano 5mila ogni anno, ovvero 13/14 al giorno. E nel 58 per cento dei casi si è trattato di un’aggressione fisica. “Una parente mi lanciò addosso una bottiglia d’acqua, in vetro. Non accettava che il tempo delle visite fosse terminato”, ricorda Anna Maria Amato, infermiera di reparto a Roma. “A novembre 2020 invece abbiamo avuto un decesso di un ricoverato 95enne. A fine giornata io e la mia collega siamo state avvisate dagli addetti alle pulizie: i parenti ci stavano aspettando all’uscita. Erano riusciti a entrare nell’atrio dell’ospedale e prendevano a calci le panchine. Mi avevano riconosciuto dalle finestre: secondo loro, lo avevamo ammazzato noi. Ed eravamo colpevoli di non averglielo fatto vedere, causa restrizioni da Covid”. Era il pieno della seconda ondata. “Ci siamo cambiate in reparto e siamo uscite da un altro percorso. Da allora ho sempre paura quando c’è un decesso“. A innescare il conflitto spesso è la combinazione fra posti letto occupati, poco personale e pressione aumentata dalla pandemia. “Se una persona aspetta 10 ore su una barella di 4 centimetri è inevitabile che si generi nervosismo”, commenta Antonino Gentile, infermiere al Pronto soccorso di Ostia. “Il contesto è quello dell’esasperazione“. Per disinnescare il conflitto ci sono alcune tecniche: “Usiamo le cosiddette frasi di scarico, per tranquillizzare. Non guardiamo negli occhi, perché in caso di rabbia può essere controproducente. Cerchiamo di ripetere sempre le ultime parole del paziente, così capisce che lo stiamo seguendo”. Ma Gentile vorrebbe anche rafforzare la sicurezza e inserire all’interno degli ospedali dei presidi di polizia, da mettere in affiancamento alle guardie giurate, il cui compito è sorvegliare i beni immobili.

Prevenzione e protezione – “I fattori scatenanti sono diversi, così come lo sono i contesti. Per esempio: nei reparti di degenza e al pronto soccorso si generano conflitti sulla cura, sull’accettazione della persona, sulla comunicazione, e poi la richiesta di informazioni e le aspettative di prestazioni“, spiega Franco Pugliese, responsabile del servizio di prevenzione e protezione dell’azienda Ausl di Piacenza. Si occupa di svolgere la valutazione del rischio sul posto di lavoro per gli operatori sanitari. “Abbiamo un sistema di segnalazioni tramite il quale ci facciamo descrivere l’episodio di aggressione. In seguito avviamo colloqui con le persone coinvolte”. Ci sono alcune aree più esposte di altre: servizio di emergenza-urgenza, strutture psichiatriche ospedaliere e territoriali, luoghi di attesa, servizi di geriatria, servizi di continuità assistenziale. Cosa si può fare per disinnescare gli episodi all’origine, a parte i corsi anti violenza e la formazione degli operatori stessi? “Bisogna agire su tre settori. A livello individuale è importante insegnare a regolare l’emotività quando si viene aggrediti, ecco perché spesso chiediamo supporto psicologico. A livello collettivo indurre una maggiore cooperazione e reciproca protezione fra colleghi. A livello strutturale, invece, si può intervenire su azioni specifiche”. Dalle più comuni – il pulsante di emergenza, la doppia via di fuga – fino ad altre: “È importante ridurre la presenza di oggetti che si possono lanciare. Per esempio le forbici, mai metterle nel taschino. Gli estintori: meglio se inseriti in contenitori di plastica. Gli appendiabiti a stelo: noi li abbiamo fatti togliere. C’è chi li usa come lance“.

Niente ferie, turnazioni cambiati e straordinari – Il 2021 è stato l’anno che ha visto scendere in piazza per la prima volta l’associazione Simeu, la Società Italiana della medicina di emergenza-urgenza, per protestare contro la carenza di personale. Come raccontato da Ilfattoquotidiano.it, le oltre 2mila uscite sono state compensate solo da mille entrate. Anna Maria Ferrari, Presidente Reggio Emilia componente comitato centrale Fnomceo, ha sottolineato la gravità di alcuni ambiti sanitari (pronto soccorso, 118, medicina di urgenza) che sono attraversati da abbandoni continui: si registra una carenza del 30% di medici. Un rischio per l’intero sistema, che coinvolge anche altri ambiti come la rianimazione e la medicina interna. Una situazione confermata dal sondaggio di Anaao – Assomed: a maggio 2021 i medici e i dirigenti sanitari hanno accumulato oltre 5 milioni di giornate di ferie arretrate. E le ore di lavoro straordinario superano quota 10 milioni. Alla ricerca hanno risposto 2.290 tra medici e dirigenti del Servizio sanitario nazionale. Nello specifico, ecco i numeri e le percentuale per quanto concerne le ferie arretrate: alla data del 31 maggio 2021, in area medica il 28.6% degli intervistati ha meno di 30 giorni, il 29.4% tra 30-50 giorni, il 19.6% tra 50-80 giorni, il 12.9% tra 80-120 giorni, il 9.5% più di 120 giorni. Sempre in area medica, il 64.2% degli intervistati ha dichiarato che le ore svolte oltre il debito orario dovuto non vengono pagate, il 18.4% ha dichiarato una parziale retribuzione delle ore eccedenti. Il 16.2% ha dichiarato un’assenza di applicazione delle vigenti normative sull’orario, il 50.5% degli intervistati ha descritto un’applicazione parziale. Relativamente allo stress lavorativo, su una scala da nullo a massimo, il 56.7% un livello di stress medio, il 41.8% un livello di stress massimo. In merito all’impatto della recente pandemia da Covid-19 sulla propria attività lavorativa, il 10% degli intervistati ha dichiarato l’assenza di impatto, il 25.6% degli intervistati ha riportato un impatto parziale, il 63.2% un impatto totale.

Scritto dal sito: ilfattoquotidiano.it;

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