Anche l’Oms Europa
nel documento sull’Italia predisposto per la sua 68ª Assemblea generale in
svolgimento in questi giorni a Roma sottolinea che percentualmente ci sono
molti medici (rispetto al numero di abitanti), ma pochi infermieri (rispetto al
numero di medici). La FNOPI ha chiesto un incontro urgente con il
ministro della Salute e con le Regioni, impegnati finora sul versante della
carenza di medici: "Se i medici mancano, a questo punto figuriamoci gli
infermieri".
- Gli infermieri impiegati nel Ssn sono carenti in tutta
Italia, dove il rapporto con i medici invece di essere di uno a tre come
indicato a livello internazionale, crolla a volte fino a sfiorare la parità
(1:1), non garantendo un adeguato impegno assistenziale: in questo senso ne
mancano oltre 53mila.
Anche l’Oms Europa nel documento
sull’Italia predisposto per la sua 68ª Assemblea
generale in svolgimento in questi giorni a Roma sottolinea che
percentualmente ci sono molti medici (rispetto al numero di abitanti), ma pochi
infermieri (rispetto al numero di medici).
Il numero degli operatori del sistema sanitario è cresciuto
negli ultimi dieci anni. La percentuale di medici è di 3.8 ogni 1000 abitanti,
un valore più elevato rispetto alla media Ue (3.6). Invece il numero di infermieri
rimane basso: 6.1 ogni 1000 abitanti, mentre la media Ue è di 8.4. Di
conseguenza, il tasso di infermieri per medici, considerando tutti gli
infermieri attivi, non solo dipendenti dal Ssn, (in questo modo il rapporto
medio con i medici scende a 1:5) è tra i più bassi in Europa (dove la media è
2:3) e tra i paesi Ocse (con una media di 2:8).
Dal punto di vista italiano il rapporto medici infermieri è
costante nel tempo, ma perché segue le carenze progressive delle due
professioni. Il rapporto infermieri medici in ospedale è passato ad esempio da
2,48 del 2010 a 2,52 del 2016.
E a dimostrarlo non è solo il rapporto infermieri-medici, ma
anche l’analisi sui dati della Rilevazione forza lavoro dell’ISTAT.
Circa il 40% degli infermieri occupati nel Ssn svolge
straordinario. Si tratta quindi su circa 270mila dipendenti di 108mila unità di
personale.
Di questo straordinario circa il 4,5-5% è in eccesso
rispetto ai normali parametri, il che significa che su 180mila unità di
personale, per ridurre di questa percentuale lo straordinario, sarebbero
necessarie 49.000 – 54.000 unità aggiuntive di personale, in linea quindi con
il personale mancante in base al rapporto infermieri-medici.
Ed è per questo che la FNOPI ha chiesto un incontro urgente
con il ministro della Salute Giulia Grillo e con le Regioni, impegnati finora
sul versante della carenza di medici: se i medici mancano, a questo punto
figuriamoci gli infermieri.
Le uniche Regioni che hanno raggiunto la media (anche se in
alcune aziende ci sono carenze e comunque la carenza cresce in assoluto nel
momento in cui sono gli stessi medici a essere carenti: un rapporto
infermieri-medici corretto, ma basato su una carenza di medici è di per sé
ugualmente carente) del rapporto 1:3 tra medici e infermieri sono, secondo
l’analisi condotta dal Centro studi della Federazione nazionale degli Ordini
degli infermieri (FNOPI) sui dati del Conto annuale 2016 del ministero
dell’Economia sono Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Molise e
Bolzano (queste ultime due hanno una sola azienda sanitaria). Anche se, come
detto, si parla di media, ma in alcune aziende sanitarie l’equilibrio non si
raggiunge e riemerge comunque una carenza, spesso legata anche all’utilizzo
degli infermieri nella varie articolazioni territoriali.
Il resto d’Italia presenta carenze regionali per raggiungere
il rapporto ottimale di cura tra medici e infermieri che vanno dai 9.755
infermieri in meno della Sicilia ai 616 infermieri in meno nelle Marche.
Resta il fatto che l’altalena di personale infermieristico
su cui “dondolano” le aziende sanitarie italiane porta a un aumento di rischi
per i pazienti e per gli stessi operatori: ogni infermiere dovrebbe assistere
al massimo 6 pazienti per ridurre del 20% la mortalità . Attualmente ne assiste
in media 11 e nelle Regioni dove la carenza è maggiore si arriva anche a 17.
E spesso è tamponato con soluzioni che non dovrebbero essere
considerate lecite, come quella di non assumere personale, ma di utilizzare,
per risparmiare, quello messo a disposizione da cooperative o col lavoro
interinale, cosa che non aiuta né la professionalità del singolo, stressato e
sottopagato né il professionista numericamente insufficiente a erogare
un’assistenza di qualità né un’assistenza specializzata che i professionisti
potrebbero erogare ma che le organizzazioni con scarso organico non riescono a
riconoscere e valorizzare adeguatamente.
La cronicità e la demografia in genere con l’incremento
dell’età e della vita media, aumenteranno i bisogni di assistenza e gli
infermieri non solo possono, ma devono essere messi in grado di esprimere il
massimo delle loro potenzialità sia in termini quantitativi che qualitativi. Un
mancato intervento oggi non avrà possibilità di essere riparato domani.
Scritto dal sito: quotidiano sanità