<< La FNOPI ha elaborato un
documento che riassume e coagula i tanti report prodotti, dal rapporto Oasi
2017 del Cergas Bocconi, al Conto annuale della Ragioneria generale dello
Stato per sottolineare, diffondere e far recepire le istanze
dell'immediato futuro dei professionisti infermieri>>.
Mancano Professionisti, mancano anche gli
infermieri, tutti lanciano il loro grido di allarme, nessuno si sottrae.
A mancare, però, è soprattutto un
serio ed equilibrato rapporto tra i professionisti che si realizzi attraverso
lo sviluppo delle competenze.
Basta alle manovre demagogiche che affondano
il Ssn. Una scelta che oggi condiziona il futuro per i prossimi 30 anni.
Il Paese ha bisogno di infermieri e di
infermieristica. Eppure il Ssn vede un costante decremento del numero di
professionisti in Sanità e conseguentemente una sempre minore capacità di
rispondere ai bisogni di salute della popolazione. Su questa impostazione la
comunità degli infermieri chiama a un confronto esplicito la politica Nazionale
e Regionale.
Di seguito pubblichiamo il posizionamento
della Federazione Nazionale degli Infermieri e infermieri pediatrici, il più
numeroso ordine Italiano con oltre 440000 iscritti.
Sempre meno professionisti: 7 anni di
decremento per tutti, nessuno escluso
In Italia ci sono molto meno infermieri della media Ocse, in
particolare se rapportato al numero dei medici.
Lo ha dichiarato l’Ocse nel suo ultimo rapporto sulla salute
2017 (Health at Glance) offrendo anche evidenze grafiche della sua
affermazione:
Il rapporto dell’Ocse si basa sul numero complessivo di medici
attivi e di infermieri attivi (che esercitano cioè a qualunque titolo – nel
pubblico, nel privato ecc. – la professione), ma in generale le soluzioni
proposte per migliorare un servizio sanitario giudicato già, comunque, tra i
migliori dei 29 principali paesi dell’Organizzazione, sono tra gli altri,
quelle di un maggior coinvolgimento dei pazienti nei processi decisionali, una
migliore informazione sulle prescrizioni inadeguate, l’introduzione di più
infermieri.
Fin qui i dati e i giudizi internazionali.
La situazione analitica nel nostro
paese è tuttavia anche più netta: di infermieri dal 2010 al 2016
(secondo i dati del Conto annuale della Ragioneria generale dello Stato) se ne
sono persi circa 13mila e di medici circa 6mila.
I fattori che hanno determinato l’emorragia di personale sono
noti: invarianza delle risorse, sia complessive (le previsioni di finanza
pubblica indicano una progressiva riduzione del peso della spesa sanitaria
pubblica sul PIL dal 6,7 al 6,3 del 2020) sia settoriali (vincolo del -1,4
delle spese del personale sul 2004 e blocchi per le regioni in piano di
rientro). E di conseguenza blocco del turn over che penalizza in modo graduale
le Regioni partendo da un minore intensità per quelle benchmark fino a un vero
e proprio muro che si è creato per quelle invece in piano di rientro, quasi
tutte del Sud e che coinvolgono oltre il 45% della popolazione italiana.
Attualmente il rapporto medici infermieri è costante nel tempo,
ma perché segue le carenze progressive delle due professioni. il rapporto
infermieri medici in ospedale è passato ad esempio da 2,48 del 2010 a 2,52 del
2016.
Il profilo di salute degli italiani
ha bisogno di infermieri e di una politica lungimirante e illuminata
Intanto
sono diventati sempre più chiari almeno due elementi di contesto, la cui
significatività è destinata ad aumentare nel futuro:
a) la
cronicità e la demografia in genere aumentano i bisogni di assistenza (area
largamente presidiata dagli infermieri) rispetto a quelli strettamente clinici;
b) la
crescita professionale degli infermieri permette di allargare il loro perimetro
di azione alleggerendo il lavoro medico e consentendo ai medici stessi di
focalizzarsi sulle aree di cura in cui fanno realmente la differenza (i medici
sono una risorsa più scarsa e costosa e vanno impiegati dopo avere “saturato”
le potenzialità infermieristiche).
Attualmente
il dibattito è attraversato da periodici allarmi di taglio “settoriale”:
mancano medici negli ospedali, mancano infermieri, mancano medici di famiglia.
L’assenza di ogni riferimento a orizzonti complessivi, come, ad esempio, i
vincoli finanziari e reali che i diversi Ssr sperimentano e la necessità di
operare delle scelte sul mix delle assunzioni (ogni assunzione ne preclude
un’altra), comporta il prevalere di logiche incrementali basate sugli equilibri
consolidati e sui rapporti di forza (capacità di interlocuzione e di
interdizione) tra le diverse professioni e discipline.
Si tratta, invece, di modificare
la composizione del personale nel quadro
descritto di invarianza delle risorse. Da questo punto di vista il vincolo
reale con cui il sistema deve fare i conti non è – o non solo e comunque non
prioritariamente - quello di una carenza di specialistici medici, ma delle
risorse a disposizione per assumere il personale nel suo insieme.
Balza
subito agli occhi l’assoluta difformità in questo senso di un’assistenza che
così strutturata non può tenere conto dei bisogni di continuità dei cittadini,
peraltro chiaramente espressi dalla ricerca di un’assistenza sul territorio
pressoché, attualmente, assente.
La
Federazione degli infermieri ha calcolato che per far fronte nell’immediato al
bisogno di salute sul territorio delle persone con patologie croniche e non
autosufficienza, oltre ai medici di medicina generale per quel che attiene alla
diagnosi e alla terapia, servono per l’assistenza continua di cui questi soggetti
hanno bisogno almeno 31mila infermieri (uno ogni 500 persone con queste
caratteristiche che in Italia sono oltre 16 milioni).
E in
ospedale per far fronte alle carenze create dalle manovre legate a tagli e
risparmi e per rispettare i parametri dettati dalle norme europee su turni e
orari di lavoro servono almeno altri 21mila infermieri, ricomponendo anche le
carenze create dai vari blocchi del turn over.
La
proiezione con questo andamento è quella di un fabbisogno al 2021 di ben 63000
infermieri che mancheranno all'appello! (proiezioni Oms/Istat/Eurostat con
l'aumento del 3% di cronici e non autosufficienti)
Secondo
un recente studio pubblicato sul British Medical Journal il tasso di mortalità
in ospedale risulta del 20% inferiore quando ogni infermiere ha in carico un
numero di pazienti pari a 6 o meno, rispetto a quei contesti dove ogni singolo
infermiere ha in carico 10 o più pazienti. Nel nostro Paese ogni infermiere ha
in carico in ospedale in media 12 pazienti.
Ripensare il Ssn partendo
dalla rimodulazione delle competenze e dei modelli organizzativi
Il sistema sanitario non riesce a modificare i propri assetti di
fondo e a ripensare se stesso.
Lo scenario da ricercare è quello di una “trasformazione strutturale” nella organizzazione del lavoro
che deve riuscire a produrre un sistema, come indicano anche i parametri e le
organizzazioni internazionali, a minore densità medica (maggiore focalizzazione
e specializzazione) per lasciare spazio ad altre figure.
Dobbiamo riuscire ad aumentare rapidamente il rapporto
infermieri medici per accompagnare l’evoluzione dei bisogni e migliorare
appropriatezza e sostenibilità del sistema, soprattutto nelle regioni in cui
demografia ed epidemiologia rendono il gap bisogni offerta più ampio.
Per realizzare l’obiettivo è necessario:
a) definire target espliciti di rapporto infermieri medici da
raggiungere entro periodi determinati;
b) accompagnare i cambiamenti con azioni (sperimentazioni,
formazione, trasferimento di esperienze, …) che aiutino l’evoluzione del
sistema verso una minore densità medica (vedi distribuzione dei compiti tra
medici e infermieri in UK).
Perché l'infermiere e
l'infermieristica è luna delle risposte sensate che servono al Paese
L'infermiere è un professionista con competenze elevate ed
elevabili che potrebbe dare, con il giusto supporto politico, risposte
immediate, appropriate e di qualità.
Poiché l’offerta condiziona la domanda, ma soprattutto poiché la
formazione dei professionisti è lunga e costosa, in quasi tutti i Paesi
esistono forme più o meno stringenti di programmazione del personale sanitario
che tengono conto sia della evoluzione nei bisogni che di quella prevedibile
nei sistemi di offerta. Investire quindi sull'autonomia infermieristica che
possa agire su competenze oggi contendibili, può da subito dare risposte
concrete, di qualità e di sicurezza alla popolazione.
Ed è importante distinguere gli orizzonti temporali rilevanti
per le decisioni, in particolare è pericoloso, oltreché inutile, immaginare
risposte ai problemi di oggi con azioni che producono i loro effetti solo sul
medio-lungo periodo.
L'infermiere è la risposta a questo pericolo che risponde
secondo logiche di appropriatezza clinica organizzativa: ovvero individuare il giusto
bisogno, il giusto contesto, il giusto rapporto costo/beneficio, il giusto
intervento ma soprattutto il giusto professionista. Ad oggi quest'ultima
variabile continua ad essere una variabile inascoltata nonostante le evidenze
scientifiche disponibili.
Conclusioni
Il sistema è complesso e non vogliamo banalizzarlo attraverso
slogan o renderlo malleabile alle nostre istanze. La sanità ha bisogno non solo
di professionisti, ma di appropriatezza: garantire ovvero il giusto
professionista che possa essere messo in grado di rispondere al giusto bisogno,
nel giusto contesto, con il giusto utilizzo di risorse nella maggiore autonomia
possibile. Serve una visione più ampia e coraggiosa. Gli infermieri sono qui ad
illustrarvi cosa serve al Paese, non cosa serve alle professioni.
E lo ripetiamo: mancano professionisti, mancano anche gli
infermieri, tutti lanciano il loro grido di allarme, nessuno si sottrae. A
mancare, però, è soprattutto un serio ed equilibrato
rapporto tra i professionisti che si realizzi attraverso lo sviluppo delle
competenze.
Basta alle manovre demagogiche che
affondano il SSN.
Una scelta oggi condiziona il futuro per i prossimi 30 anni.